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COLLABORAZIONI
In questo Settore vengono riportate notizie
e immagini fornite da altri redattori.
Nello specifico, il presente articolo è stato realizzato
dal Prof. Renzo Barbattini dell'Università
di Udine, che ha fornito anche le immagini.
Tutti gli articoli degli altri Settori sono state realizzati
da Patrizia di Cartantica che declina ogni responsabilità
su quanto fornito dai collaboratori.
"N.B.: L'Autore prescrive
che qualora vi fosse un'utilizzazione per lavori a stampa
o per lavori/studi diffusi via Internet, da parte di terzi
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avvenire solo previa richiesta trasmessa a Cartantica e citando
esplicitamente per esteso il lavoro originale (Autore, Titolo,
Periodico) ."
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OMAGGIO AGLI ARTISTI
di Renzo Barbattini* e Stefano Fugazza
*Dipartimento di Biologia e Protezione delle Piante – Università di Udine
** Galleria d’Arte Moderna “Ricci Oddi” – Piacenza
I PARTE
Tra i numerosi hobby ai quali le persone possono dedicarsi, vogliamo presentare quello coltivato da Giuseppe Lega, contitolare col fratello Roberto dell’omonima Azienda produttrice di attrezzature e materiali apistici di Faenza.
Giuseppe Lega, infatti, si diletta a dipingere quadri prendendo spunto da famosi dipinti e rielaborandoli in senso “apistico”: vale a dire aggiungendo elementi tipici dell’apicoltura. Queste tele, di pregevole fattura, sono utizzate per realizzare calendari che vengono spediti a tutti i loro rivenditori. Per la loro presentazione, si seguirà un ordine cronologico in relazione all’anno del calendario interessato.
Al fine di una più facile “lettura” dei dipinti citati, alla descrizione degli originali “famosi” seguirà quella dei quadri di Giuseppe Lega.
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ANNO 1998
Il manoscritto, capolavoro della cultura francese del medioevo, Les Très Riches Heures du Duc de Berry (1) del XV secolo conteneva numerose miniature, una per ogni mese dell’anno. Ogni illustrazione è composta da un timpano, a forma di semicerchio, che contiene i due segni zodiacali del mese, e da una scena “agreste” che spesso ha sul fondo uno dei castelli di proprietà del Duca. Quella qui riportata (Fig. 1) fa riferimento al mese di febbraio e riporta una scena invernale; oltre all’ovile e alla piccionaia, si notano quattro alveari coperti dalla neve.
Giuseppe Lega ha rielaborato questa miniatura francese del 1416 aggiungendo un alveare e un cane, ed eliminando alcune figure ritenute superflue (Fig. 2).
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Fig. 1
- Les Très Riches Heures du Duc de Berry, Le calendrier.
Le mois de Février, 1416, Musée Condé. Chantilly (France). |
Fig. 2
Quadro dipinto da Giuseppe Lega (Faenza). |
ANNO 2000
HENRI ROUSSEAU
Henri Rousseau, detto il Doganiere, nasce a Laval nel 1844 e muore a Parigi nel 1910.
Pittore francese, è considerato il precursore della corrente “naïf”, connotata dal tono popolare e ingenuo della rappresentazione.
Lavorò come ispettore di frontiera (impiegato dell’ufficio comunale del dazio di Parigi, da cui il suo soprannome, il “Doganiere”) prima di dedicarsi all’arte nel 1885.
Gli artisti dell’avanguardia, tra cui lo stesso Picasso e il poeta Apollinaire, lo ammiravano proprio in ragione della freschezza della sua pittura, non ingabbiata dai rigidi insegnamenti accademici.
Sono celebri le sue scene ambientate nella giungla del periodo 1900-1910, come ad esempio la
“La charmeuse de serpents” (L’incantatrice di serpenti)
in cui il fogliame, stilizzato eppure minuziosamente descritto, e la misteriosa figura femminile che vi si cela, sono rese con straordinaria intensità (Fig. 3).
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Fig. 3 - Henri Rousseau Le Douanier (Il doganiere), La charmeuse des serpents (L'incantatrice
di serpenti), 1907, Musée d’Orsay, Parigi
Fig. 4 - Henri Rousseau Le Douanier (Il doganiere), The Football Players (Giocatori di football),
1908, Solomon R. Guggenheim Museum, New York |
Il paesaggio esotico è inserito in una struttura complessa, illuminata da una luce fredda che si riflette nell’acqua. Le figure risaltano come forme piatte e immobili, immerse in una monumentalità che è fuori dallo spazio, mentre il paesaggio è ispirato a una natura fantastica e irreale.
Famosissimo è, inoltre, l’olio su tela intitolato “The Football Players” (Giocatori di football) del 1908 (Fig. 4).
Il quadro “apistico” (Fig. 5) rappresenta un giocatore di pallone d’epoca liberty, trasformato da Lega in ladro di miele, che sottrae dagli alveari di un malcapitato apicoltore, anche lui aggiunto, un favo ricolmo di miele.
Il tutto in un contesto esotico e all’interno di una florida e coloratissima foresta. Si tratta di un richiamo alla passione di Rousseau per le piante esotiche, che egli ammirava nel corso delle sue numerose visite al Jardin des Plantes, il giardino botanico di Parigi.
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Fig. 5 - Quadro dipinto da Giuseppe Lega (Faenza)
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ANNO 2002
GIOVANNI FATTORI
Fig. 6 - Giovanni Fattori, Bovi al carro, 1867, Galleria d’Arte Moderna, Palazzo Pitti, Firenze |
Giovanni Fattori (Livorno, 6 settembre 1825 – Firenze, 30 agosto 1908) è considerato tra i maggiori esponenti della pittura “macchiaiola”.
Aveva tratto dagli studi in Accademia, a Firenze, una lezione di nitidezza e di ordine formale a lungo determinante e capace di esercitare la sua funzione anche nei momenti di maggiore adesione alla poetica della macchia. Partecipò alle vicende del Risorgimento e ispirò spesso la sua opera a temi militari; però, seppe sempre prendere le distanze dall’enfasi celebrativa.
I soldati raffigurati da Fattori infatti non sono eroi, in mezzo a loro non campeggia alcun protagonista, il valore individuale non ottiene un particolare riconoscimento, anche se non manca in queste opere quella speciale solennità che nasce da una testarda dedizione al dovere, da una concezione di vita spigolosa e solitaria.
Simili ai soldati sono i contadini, i butteri stremati dalle fatiche, ugualmente sottomessi alla dura necessità del lavoro. Il rifiuto dell’idillio per Fattori riguarda però non solo la storia dell’uomo (le battaglie, la condanna al lavoro) ma anche la natura, che viene costantemente vista senza filtri deformanti di ordine sentimentale o misticheggiante (a differenza di un pittore come Millet).
Il paesaggio maremmano suggerisce dunque a Fattori temi di vita contadina; il quadro “Bovi al carro” del 1867 (cm 46 x 108) (Fig. 6) è fra quelli di più grandi dimensioni di questo periodo per i dipinti di paesaggio; anche in questo caso l’opera è impostata su fasce sovrapposte dai toni intensamente variati per valori cromatici e luminosi; sul lato destro la coppia possente dei buoi col carro e il contadino, a testimoniare un maggiore interesse anche per il lavoro dell’uomo.
Nel quadro dipinto da Giuseppe Lega (Fig. 7), ridotto in larghezza per portarlo alla misura quadrata, sulla sinistra si notano 3 arnie razionali in legno (probabilmente del modello Itaica-Carlini): di queste due sono chiuse mentre una è aperta con due apicoltori intenti a una visita.
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Fig. 7 - Quadro dipinto da Giuseppe Lega (Faenza) |
ANNO 2004
PAUL GAUGUIN
Fig. 8 - Paul Gauguin, Femmes de Tahiti, 1891 Musee d’Orsay, Parigi.
Paul Gauguin nasce a Parigi il 7/6/1848, muore a Hiva Oa (Isole Marchesi, Polinesia francese) l’8/5/1903.
Pittore, scultore e litografo francese è una delle figure fondamentali dell’arte moderna.
Gauguin fu uno dei primi artisti ad apprezzare la semplicità e la vita primitiva, una passione che lo portò in Martinica nel 1887, a Thaiti nel 1891-93 e nel 1895-1901 e infine alle isole Marchesi, dove morì.
Fig. 9 - Paul Gauguin, Arearea (Joyousness), 1892, Musée d’Orsay, Parigi
In questi luoghi scoprì l’arte primitiva con le forme piatte e le colorazioni vivaci, tipiche della natura selvaggia: egli trasferì ciò in molte tele, tra le quali si ricordano Femmes de Tahiti (Tahitian Women ) (Fig. 8) del 1891, Arearea (Joyousness) (Fig. 9) del 1892, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (Fig. 10) del 1897-98, No te aha oe riri? (Perché sei arrabbiata?) (Fig. 11) del 1896.
Fig. 10 - Paul Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, 1897-98,
Museum
of Art, Boston.
Fig. 11 - Paul Gauguin, No te aha oe riri? (Perché sei arrabbiata?), 1896, Art Institute of
Chicago, Chicago
Negli accesi colori della natura e nell’incarnato delle bellissime fanciulle polinesiane egli riversa tutta la sua passione per l’esotico, per il primitivo, osservato come immagine di un paradiso perduto.
Ma la sua importanza dipende soprattutto dal fatto che, stante la sua ricerca di essenzialità e il ricorso a un colore non naturalistico, egli ha dato un contributo essenziale allo sviluppo dell’arte moderna.
Va certamente ricordata la grande tela Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (4 metri e mezzo) dipinta alle isole Marchesi; il dipinto rappresenta il divenire della vita dalla nascita alla morte. La parte centrale è dedicata al mondo degli adulti con le loro gioie e i loro dolori: spicca una figura più grande e luminosa che coglie i frutti, dividendo il quadro in due parti asimmetriche.
Ma le tre domande del titolo non ricevono alcuna risposta: vengono scritte in un cartiglio in alto a sinistra restando inevase. Il fatto è che Gauguin intende sottolineare l’enigma appassionante della vita più che individuare delle soluzioni.
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Nel quadro apistico (Fig. 12), in primo piano nella ciotola si nota un favo di cera con miele, in secondo piano si vede un uomo a braccia alzate che tenta di raccogliere un favo da un albero.
Anche in questo caso va sottolineata l’abilità di Giuseppe Lega nel cogliere i suggerimenti del dipinto per i suoi sviluppi in direzione apistica. |
Fig. 12 - Quadro dipinto da Giuseppe Lega (Faenza). |
ANNO 2005
VINCENT VAN GOGH
Fig. 13 - Vincent van Gogh, Il ponte di Langlois, 1888, Wallraf -Richartz Museum, Colonia
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Vincent van Gogh nasce nel 1853 a Groot Zundert, nel Brabante settentrionale (provincia dei Paesi Bassi, situata nella parte sud della nazione) e muore suicida il 29 luglio 1890 a Auvers (France).
Pittore olandese, fu uno dei più grandi e influenti artisti del XIX secolo.
La sua arte, caratterizzata da forme e colori violenti e da un forte tratto espressionista, creò un nuovo concetto delle relazioni dell’arte con il mondo fisico.
La sua influenza sul simbolismo, sull’espressionismo nonché sui primi movimenti astratti fu immensa. Tra le numerose tele da lui dipinte si ricorda Il ponte di Langlois del 1888 (Fig. 13).
Questo ponte levatoio, sul canale che unisce Arles a Port-de-Buc, in francese si chiamava “Pont de Réginelle”, ma tutti lo chiamavano “Il ponte di Langlois”, dal nome del suo custode.
Esso fu il soggetto di vari dipinti risalenti a quel periodo: quella riportata è forse l’ultima versione che l’artista ha dato di questo motivo.
Il piccolo ponte levatoio è rappresentato da colori chiari e piatti (con pennellate stilizzate che richiamano le stampe giapponesi) che suscitano una forte intensità emotiva.
Giuseppe Lega per rendere “apistico” questo capolavoro ha aggiunto 3 alveari in paglia (sulla destra) (Fig. 14).
In questo caso c’erano meno elementi cui ispirarsi e l’ambientazione che ne risulta non appare particolarmente stimolante.
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Fig. 14 - Quadro dipinto da Giuseppe Lega (Faenza).
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NOTE
(1) Quest’opera rappresenta il “libro delle ore” in uso durante il Medioevo; si trattava di una collezione di testi da leggere e recitare nei momenti liturgici della giornata: essa comprendeva oltre alle preghiere e ai salmi anche calendari.
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Omaggio agli artisti (1a parte). Apitalia, 34 (10) (2008): 35-40 (in coll. con FUGAZZA S.)
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II PARTE
Continua il viaggio tra i quadri “apistici” di Giuseppe Lega
il quale “rifacendo” famosi dipinti dimostra buon gusto
nel contaminare gli elementi e una certa padronanza della tecnica.
Il senso del lavoro dell’artista del passato viene,
in buona sostanza, rispettato e poi abilmente vengono inseriti
perfettamente amalgamati nell’insieme, i riferimenti apistici
ANNO 2006
GIORGIO DE CHIRICO
Il pittore nasce a Volos in Grecia il 10 luglio 1888 da genitori italiani (il padre era un ingegnere ferroviario impegnato nella costruzione di ferrovie in Grecia) e muore il 20 novembre 1978 a Roma. De Chirico ha sempre considerato un segno del destino essere nato nella terra dei miti e degli dei; per tutta la vita ha sentito una profonda identità “classica”, pur nelle diverse svolte stilistiche e nelle frequenti aperture al confronto internazionale. Fu uno dei padri fondatori della “metafisica”, una delle più importanti e originali avanguardie italiane del XX secolo, con i temi tipici di manichini, statue, “piazze d’Italia” silenziose e deserte, ombre taglienti, edifici come fondali vuoti.
Giuseppe Lega ha dipinto il suo quadro assemblando e rielaborando i famosi quadri di Giorgio de Chirico:La torre rossa del 1913 (Fig. 15), Mistero e Malinconia di una strada del 1914 (Fig. 16), Piazza d’Italia del 1915 (Fig. 17).
Fig. 15 - Giorgio de Chirico, La Torre rossa, 1913,
Peggy Guggenheim Collection, New York. |
Fig.16 - Giorgio de Chirico, Mistero e Malinconia di una strada, 1914, Museo di Arte moderna, New York.
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La torre rossa: si tratta di una rievocazione del geometrico lirismo delle “piazze d’Italia”. La malinconica luce crepuscolare accentua la sensazione di sospensione e di straniamento dell’intero scenario. La torre è simbolo dell’infinito che si erge accanto alle testimonianze del tempo (le case e il monumento; quest’ultimo richiama le frequentazioni torinesi di De Chirico).
Mistero e malinconia di una strada: nella prospettiva difforme dei porticati ad archi, la sagoma della bimba che gioca pare schiacciata dal luogo, privo di manifestazioni di vita nell’ora meridiana e immerso in un’atmosfera innaturale. Minacciosa si profila del resto un’altra lunga ombra, che sembra fuoruscire dagli spazi oscuri di destra, mentre a sinistra si staglia un’area ampiamente luminosa che abbraccia la lunga costruzione biancastra.
Il motivo delle architetture con archi è frequente nelle opere di De Chirico, a ricordo delle strutture edilizie urbane di Torino e Firenze, città alle quali il pittore riconosce un carattere “metafisico” per le loro ordinate geometrie spaziali. Le arcate sembrano essere molto adatte a nascondere presenze misteriose, forse divine, che non amano palesarsi. Gli spazi sono tutti contrassegnati da ampie aperture (i porticati, il carro), ma nello stesso tempo appaiono chiusi e impenetrabili alla vista.
Forti contrasti di luce ed oscurità rendono ancor più enigmatica l’assenza di figure umane, quasi esse fossero catturate e costrette nell’angustia di varchi inaccessibili. In certi casi al posto delle persone in carne e ossa troviamo i manichini, attestazione di una scelta, da parte del pittore, tutta a favore di un’arte che risulta fortemente autonoma rispetto al reale, il quale viene ricreato anche per affermare il potere dell’artista, la sua capacità di dare vita a un mondo tutto suo. Piazza d’Italia: nel 1912 appaiono le prime Piazze d’Italia; con esse ha inizio la fase matura dell’artista, e quella forse più nota e apprezzata da parte del pubblico: la pittura “metafisica”.
Le Piazze d’Italia sono visioni di piazze prive di vita. In esse appaiono edifici squadrati e lunghi porticati, che rimandano alle architetture di Firenze, Torino, Monaco, o ai dipinti di Giotto. L’uso di prospettive assurde e sconcertanti, e i colori terrosi evocano l’idea di uno spazio impossibile, in cui tutto è immobile e il tempo si è fermato.
In questa rappresentazione quasi surreale, più che metafisica della città, ricompare la solita struttura architettonica di arcate profonde che tagliano uno spazio aperto, solcato da ombre inquietanti, lunghe, nette e contrapposte alla luce e al colore, caldo ma terso. La geometrizzazione delle prospettive e degli alti portici suscita una grande impressione metafisica.
La statua al centro della piazza raffigura Arianna e richiama un prototipo ellenistico presente nei Musei Vaticani. E’ immagine mitica che rimanda al labirinto e all’abbandono. “La statua sulla piazza - dice De Chirico - ha sempre un aspetto eccezionale” perchè ha forma umana, e al tempo stesso è immobile, marmorea, perenne. Nell’opera alleggia un profondo senso di solitudine, rotto soltanto da due piccole figure umane sulla sinistra e, sullo sfondo, da un treno a vapore che passa sbuffando.
Nel quado di Lega (Fig. 18) si notano, al centro della piazza alcuni alveari (4 sono ben visibili e 2 sono seminascosti) razionali (le arnie sono modello Dadant-Blatt): in primo piano sono accatastati 6 melari probabilmente destinati agli alveari prima citati. Il pittore contemporaneo ancora una volta ha “rifatto” il quadro di riferimento dimostrando buon gusto nel contaminare gli elementi e una certa padronanza della tecnica.
Fig. 17 - Giorgio de Chirico, Piazza d’Italia, 1915, Art Gallery of Ontario, Toronto
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Fig. 18 - Quadro dipinto da Giuseppe Lega (Faenza)
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ANNO 2007
SILVESTRO LEGA
Fig. 19 - Silvestro Lega, La visita, 1868, Galleria d’Arte Moderna, Roma
Silvestro Lega (nato a Modigliana (FO) il 8/12/1826 e morto a Firenze il 22/9/1895) è stato un indiscutibile protagonista di quella fondamentale esperienza della pittura italiana dell’Ottocento che ha riunito, sotto l’etichetta di Macchiaioli, artisti di varia provenienza che trovarono a Firenze e nella campagna toscana l’ambiente più adatto per sperimentare un modo rivoluzionario di rappresentare la realtà. Tra le sue opere, è doveroso ricordare il suo capolavoro dal tiolo La visita del 1868 (Fig. 19) in cui, a livello dei profili delle figure rappresentate, si può notare un riferimento a Piero della Francesca, punto di riferimento per molti artisti rinascimentali (XV sec.).
Le variazioni che ha apportato Giuseppe Lega per realizzare il calendario del 2007 (Fig. 20) sono abbastanza visibili: poichè l’originale è di forma orizzontale e invece per il calendario occorreva lavorare sul quadrato, egli ha dovuto “alzare” la casa inventando un primo piano e allungare il selciato con l’aggiunta della seggiola in primo piano, per equilibrare i volumi. L’intervento per trasformare il quadro in soggetto apistico è stato, chiaramente, la sostituzione della madre che è sullo sfondo e accompagna le figlie nella “visita”, con l’apicoltore che esegue l’ultima visita ai suoi alveari alla fine dell’autunno. Ne viene fuori una scena suggestiva che, nella serie delle rielaborazioni moderne di opere famose, è una delle più riuscite anche perché l’atmosfera complessiva del quadro rimane inalterata.
Anche il dipinto “rifatto” rende bene il sapore della vita in provincia, con i suoi riti che si ripetono e la malinconia di certe giornate grigiastre, accentuata nel nuovo quadro per via di quell’unica sedia che pare abbandonata e che accresce il sentimeno della solitudine.
Fig. 20 - Fig. 6 (sotto) - Quadro dipinto da Giuseppe Lega (Faenza).
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ANNO 2008
PAUL GAUGUIN
Il calendario riporta un quadro che Giuseppe Lega ha dipinto rifacendosi a un’opera d’arte di Gauguin che si trova trova all’Ermitage di San Pietroburgo (Russia). Il quadro (Fig. 21) ha diversi titoli, ma originariamente l’unico titolo era Ea haere ia oe (Dove vai?); viene in individuto anche con Donna con mango e con Donna con frutto.
L’opera appartiene al movimento postimpressionista, ed è stata eseguita nel 1893; ci sono varie versioni di questo quadro, o meglio del soggetto della donna con frutto, che risalgono al primo soggiorno a Tahiti del pittore, il quale approfondì la mitologia e le scene di vita quotidiana della società polinesiana.
Nel ritratto della Donna con mango Gauguin si serve delle figure dell’arte figurativa della tradizione europea. La presenza corporea della donna con il simbolo della fecondità che ella mostra nella mano, infatti, si orienta al conciso linguaggio della rappresentazione di un Giotto o di un da Vinci; i dettagli figurativi sono ridotti al minimo mentre la massiccia figura della donna riempie il quadro.
Giuseppe Lega, rispetto al dipinto originale, ha allargato il formato, portandolo al tradizionale “quadrato” e ha sostituito il frutto che la ragazza tiene in mano con un favo con miele (Fig. 22).
Fig. 21 - Paul Gauguin, Ea haere ia oe (Dove vai?), 1893, Museo Ermitage, San Pietroburgo.
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Fig.22 - Quadro dipinto da Giuseppe Lega (Faenza).
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In conclusione si può dire che, a differenza di quanto di solito avviene nel momento in cui un artista decide di realizzare un d’après da un’altra opera, e cioè che prevalgono le deformazioni, le trasformazioni (“se no - pensa l’artista - come si salvaguarda la mia originalità?”), nel caso dei dipinti di Giuseppe Lega ci troviamo di fronte a un’operazione che è al tempo stesso rispettosa del modello e creativa. Il senso del lavoro dell’artista del passato viene in effetti, in buona sostanza, rispettato e poi abilmente vengono inseriti, perfettamente amalgamati nell’insieme, i riferimenti apistici.
Ne viene fuori una serie interessante perché permette all’osservatore di cogliere subito il senso complessivo: tutti riconoscono il pittore la cui opera è stata imitata e sono curiosi di vedere come Giuseppe Lega se l’è cavata con la sua rielaborazione. E’ un’operazione, in altre parole, molto efficace sul piano della comunicazione, data la chiarezza con cui il lavoro originale dell’artista viene trasferito in un altro ambito.
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Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare il sig. Giuseppe Lega (Faenza), il sig. Fausto Ridolfi (Bologna) nonché i proff. Pietro Zandigiacomo e Franco Frilli dell’Università di Udine per la collaborazione prestata.
BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
- ARISI F., 1988 - Galleria d’arte moderna Ricci Oddi, Piacenza. Tip. Le. Co., Piacenza (voce Fattori: pag.
262).
- BERTELLI C., BRIGANTI G., GIULIANO A., 1994 - Storia dell’arte italiana. Electa-Bruno Mondadori
Editori (Torino): passim.
CAMERINI A., 1998 - Scene d’inverno con api per il ricco mecenate
del ‘400. Apitalia, 25 (9): 33-34.
PIPER D., 1991 - Dizionario illustrato dell’arte e degli artisti. Gremese editore, Roma (voce Rousseau: pag. 373).
GINZBURG S., 1992 - voce Lega Silvestro. In Dizionario
della pittura e dei pittori. Vol. III (K-N). Larousse, Einaudi Editori (Torino): 156-157.
ZUFFI S., 1988
- La pittura moderna. Gli impressionisti e le avanguardie del Novecento. Electa, Milano ( voci Rousseau: pag. 182; Fattori: pag. 92; Gauguin: pag. 165: Van Gogh: pag.154; de Chirico: pag. 296).
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